Le travagliate vicende delle reliquie di Agostino d’Ippona, fra trasferimenti, ritrovamento e devozione

Molti Cristiani, e non, sono ben consapevoli della vita turbolenta e agitata che ebbe Agostino, figlio di Monica e Patrizio, vissuto fra gli anni 354-430, venerato come uno dei maggiori santi e dottori della Chiesa di tutti i tempi. Tuttavia, molto probabilmente, pochi sanno che anche dopo la sua morte, i suoi resti mortali ebbero un percorso pur abbastanza irrequieto, come d’altronde era sempre la vita dello stesso Agostino d’Ippona.

Agostino visse 76 anni, non pochi per quei tempi. Molti di questi, appunto dalla età di 33 anni, li ha vissuti come servus Dei, nella vita monastica da lui introdotta in occidente, e poi, a suo malincuore, come presbitero e vescovo di Ippona, città dell’Africa consolare. Verso la fine dei suoi anni terreni, egli assistette alla imminente invasione della sua amata città da parte dei Vandali, che fortunatamente, dopo essersi scesa ad un accordo con il re Genserico (429-477), non fu devastata. Infatti, sappiamo che il grande tesoro agostiniano, cioè la sua biblioteca con le sue opere, dove, secondo il suo biografo e amico del cuore Possidio di Calama, tutti lo possono ancora trovare «sempre vivo», fu risparmiate e rimase intatta.

La sorte dei cristiani in quella zona cambiò con il re Unnerico (+484). In quel tempo assistiamo a persecuzioni ed esili di massa da parte dei cattolici, essendo favoriti gli ariani. Verso la fine del V secolo troviamo un’altra ondata di persecuzioni, dove molti vescovi nord-africani furono esiliati per la Sardegna nel 498. Una tradizione narra che, in tali circostanze, essendo molto probabilmente il successore di Agostino fra quei molti vescovi esiliati, i resti dell’Ipponate furono gelosamente trasportati da questi verso l’isola di Sardegna. Ma questa è una supposizione, siccome finora non ci sono documenti affidabili che ne parlino esplicitamente. Alcuni studiosi posticipano tale possibile trasferimento persino al VI o VII secolo. Secondo una tradizione non documentata, i resti di Agostino furono custoditi in una chiesa a Cagliari, chiamata nel tempo “Sant’Agostino vecchio”. Sfortunatamente questa chiesa fu demolita nel 1884. Tuttavia, esiste ancora la cripta dove presumibilmente giacevano le reliquie del vescovo di Ippona.

La prima fonte che menziona questa traslatio delle reliquie da Ippona a Sardegna è di Beda il Venerabile nel suo De temporum ratione. Lo stesso autore parla pure di una seconda traslatio, ossia, quella fatta possibilmente fra gli anni 721-725 dal re longobardo Liutprando, che compra a un caro prezzo i santi resti mortali, portandoli a Pavia. Secondo racconti del XII secolo, spinto dalla forte devozione, Liutprando viaggiò per Genova per venerare e andare incontro alle reliquie a piedi scalzi.

I santi resti di Agostino furono messi nella chiesa dedicata a San Pietro in Cella Aurea (oggi San Pietro in Ciel d’Oro) a Pavia, costruita per la venerazione dei resti di Boezio (ucciso nel 524 e venerato popolarmente come martire), alla quale Liutprando annette un monastero che per molto tempo era nelle mani dei monaci benedettini di Bobbio. La città di Pavia, allora capitale del regno longobardo, nel contesto instabile politico e sociale del tempo, aveva bisogno di aumentare la sua autostima per alzarsi nel rango delle città importanti, e uno dei mezzi per fare ciò era la presenza di reliquie insigni. Pavia era in competizione con la vicina Milano, la città di Ambrogio, altro personaggio influente dell’antichità cristiana, e ancor più influente sulla vita e la conversione dello stesso Agostino. Dunque, il secondo trasferimento dei resti di Agostino ebbe uno sfondo nettamente politico: Liutprando desiderava vedere la sua città aumentare di prestigio, e la presenza di un santo come Agostino, certamente aiutava in tutto ciò. Questa impresa attorno alle reliquie del santo era molto a cuore del re. Infatti, dai diversi edifici di culto che costruì, scelse proprio San Pietro in Ciel d’Oro per essere sepolto dopo la morte.

Il culto verso le reliquie crebbe molto, e per conseguenza diverse sedi episcopali cercarono di ottenere dei pezzi dei resti mortali dell’Ipponate. Sappiamo, per esempio, che nel 1022, l’arcivescovo di Canterbury ottenne un pezzo di una certa consistenza del braccio sinistro. Da menzionare anche la tradizione che il cuore del santo si trovava conservato ad Anversa. Malgrado questo aumento di devozione, non sembra che la presenza delle reliquie cambiassero di molto la fisionomia religiosa della città di Pavia (fu solamente agli inizi del XVI secolo che Agostino ne fu proclamato co-patrono, dopo la liberazione dalla peste), e successivamente a un florido periodo di culto, pian piano si persero le tracce del luogo preciso della inumazione dei resti santi. Non abbiamo notizie di monumenti che indicava tale luogo.

Nel frattempo, l’anno 1222 vede il passaggio di custodia della chiesa in mano ai Canonici Regolari della congregazione di Mortara (rimpiazzati con quelli Lateranensi nel 1509). A questi, nel 1327, dopo richiesta al Papa da parte dell’agostiniano Guglielmo da Cremona e per conseguente ordine del pontefice Giovanni XXII, vennero affiancati gli Eremitani di Sant’Agostino, i quali, fondati dalla Santa Sede sullo stile degli Ordini Mendicanti nel 1244, ebbero avuto già dal 1254 una presenza a Pavia. Ma essi vollero avvicinarsi di più al santo. Dunque, due ordini religiosi, ambedue sotto l’egida della Regola di Agostino, condividevano lo stesso tempio, avendo ciascuno, letteralmente l’uso di una metà. Quella con i Canonici Regolari non fu una convivenza pacifica, ma il materiale avvicinamento degli Agostiniani alle reliquie di Agostino ebbe un enorme risvolto nella loro identità come Ordine. Al contrario dei Domenicani e dei Francescani, gli Agostiniani non ebbero un fondatore fisico. Infatti, dopo la decisione di Giovanni XXII, assistiamo a un crescendo decisivo nella identità agostiniana degli Eremitani, facendo di lui il fondatore materiale dell’Ordine e vestendolo iconograficamente con lo stesso saio nero e cintura di cuoio che gli Eremitani avevano assunto dalla fondazione. Nel 1362 venne commissionata la nobilissima arca marmorea, oggi situata al centro del presbiterio, dove da tempi recenti sono custodite le reliquie, ma che originalmente era collocata nella parte in uso dagli stessi frati.

Le tensioni fra i due ordini rimasero sempre alte, ognuno reclamando ad Agostino come suo fondatore. Questo creò disagi e litigi per anni. Di fatto, nel 1580, il papa Gregorio XIII, per spegnere ulteriori dibattiti su temi scottanti fra i Canonici e gli Eremitani, andrà a proibire anche ogni tentativo di ricerca o di eventuale spostamento dei resti di Sant’Agostino. Ma le battaglie fra i due gruppi religiosi erano destinate a continuare, qualche volta arrivando pure allo spargimento di sangue. È con questo sfondo storico che si devono interpretare le vicende del ritrovamento delle reliquie di Agostino.

Il primo di ottobre del 1695, un martedì mattina, fu il giorno della scoperta clamorosa. Un gruppo di muratori dovettero fare dei lavori sull’altare nella cripta della Chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro. Mettendo mano su alcune pietre dietro lo stesso altare, e togliendo delle pietre per lastricati, vennero incontro a una sotterrata scatola di marmo bianco di Carrara di circa 120cm x 30cm x 30cm. Immediatamente fu chiamato il frate sacrestano degli Eremitani, non essendo in città il priore. La scatola aveva alcune lettere scritte a carbone, decifrate dai presenti con il nome di Agostino. Dentro questa prima scatola, si trovava un’altra, sempre di marmo, ma scolpita, e dentro di quest’ultima, una di argento decorata con croci stile lombardo. Aprendo quest’ultima, si intravidero i resti umani avvolti in una stoffa. Si fece un’esumazione in presenza delle autorità delle due comunità religiose e altre autorità civili e religiose, elencando minuziosamente i resti da esperti anatomisti. Un’inchiesta fu fatta fra novembre 1695 e febbraio 1696 e un’altra nel 1698. Malgrado una certa riluttanza da parte delle autorità ecclesiastiche nell’autenticare le reliquie come quelle dell’Ipponate, l’entusiasmo cittadino e un numero di miracoli, attribuiti alle reliquie, accelerò il corso degli eventi. La notizia della riscoperta delle “reliquie di Agostino” corse per tutta la penisola italiana, e non mancarono le controversie fra gli eruditi del tempo, sia quelli a favore dell’autenticità dei resti sia quelli contrari, o almeno dubitanti, producendo numerose opere in forma di opuscoli, libelli e trattati sul tema che circolavano in gran numero, possibilmente coinvolgendo buona parte della popolazione pavese, almeno per alcuni anni. Malgrado l’entusiasmo popolare nella città e altri luoghi, nessuna decisione fu presa sull’autenticità delle reliquie.

La questione fece intervenire il domenicano Benedetto XIII che, nel 1728, volle chiarimenti e conclusioni a riguardo, e le volle in un tempo circoscritto. Il pontefice sembra che tendesse alla speranza di una conclusione positiva, ossia, a favore della autenticità. In questa occasione si fece anche un piccolo inventario delle reliquie sparse in diverse città: Montalcino, Piacenza, Valencia, Dubrovnik…

Con l’ingresso in scena delle autorità romane, le cose presero una svolta diversa, per esempio con più controllo nella produzione bibliografica. Nel maggio di quello stesso anno, fu riaperta la cassa con le ossa, e specialisti dell’epoca furono consultati, concludendo i lavori il 20 giugno. Tre giorni dopo fu fatta una processione dal Duomo fino a San Pietro. A chi vi partecipava e a chi visitava i resti durante i seguenti 40 giorni, fu concessa l’indulgenza plenaria, implicando indirettamente che si era arrivati a una conclusione favorevole alla autenticità. Le conclusioni, giunte in mano al vescovo di Pavia nel luglio dello stesso anno, confermavano l’autenticità delle reliquie. Gli avvenimenti si succedevano di corsa: il 10 luglio il vescovo annuncia che la proclamazione ufficiale sarà fatta il 16 luglio e che tre giorni dopo ci sarà il canto del Te Deum e fuochi d’artificio per festeggiare l’avvenimento. A questi avvisi, si accludevano la minaccia di scomunica a chi discordava con tale decisione. Il 22 settembre 1728, Benedetto XIII, attorniato da intellettuali ed eruditi sui quali poteva fidarsi per far avanzare il tema, confermò per iscritto il giudizio del vescovo di Pavia Francesco Pertusati. Con la conferma, fu rinnovata la proibizione di continuare con la controversia sul tema. Pubblicazioni su questo evento videro la luce a Madrid, Leipzig, Barcellona, Venezia, Roma…

Una serie di avvenimenti politici e militari ha segnato anche la sorte della città di Pavia e con essa quella delle reliquie di Agostino. Nel febbraio del 1734 furono trasferiti per breve tempo al Duomo per sicurezza. Sotto l’imperatore Giuseppe II, nel 1758, la comunità dei Canonici Regolari cessò la sua presenza a San Pietro in Ciel d’Oro, e gli Eremitani furono spostati l’anno dopo in un ex convento dei Gesuiti. Presero con sé le reliquie di Agostino e di Boezio, con tutta l’arca marmorea commissionata nella seconda metà del Trecento. Negli anni 90 del Settecento, il convento fu trasformato in seminario. Nel 1799 gli Agostiniani furono espulsi da Pavia da Napoleone. Questi, dovevano separarsi dalle reliquie del Santo vescovo, lasciandoli nelle mani del vescovo di Pavia, che era pure Agostiniano, e furono messi in Duomo per la seconda volta. Negli anni Trenta dell’Ottocento c’era l’idea di demolire San Pietro in Ciel d’Oro, cosa che fortunatamente non avvenne. Nel 1842 una reliquia insigne fu concessa al vescovo di Ippona, mons. Dupuch, da portare con sé in Algeria, dove ancor oggi si trova nella basilica sulla collina che sovrasta la città, oggi con il nome di Annaba. Nel 1884 si fece la ultima ricognizione dei resti sacri, dove si fece l’inventario di duecento venticinque pezzi di ossa, con alcuni contenitori di vetro. Dopo restauri che hanno riportato la chiesa al suo stato medievale, fu riaperta nel 1896, e in mezzo al presbiterio fu messa la sontuosa arca tardo-medievale di marmo. Finalmente, il giorno 17 dell’ottobre del 1900, i resti mortali sono tornati solennemente in San Pietro in Ciel d’Oro, e consegnati al priore degli Agostiniani, fino ad oggi gli unici custodi del loro Padre e Maestro.

Le reliquie vengono esposte solennemente due volte all’anno: per il 24 aprile nella ricorrenza della conversione di Agostino, e il 28 agosto per la solennità. Fra gl’innumerevoli personaggi che hanno dato la loro venerazione a queste sante reliqiuie ci basti qui menzionare S. Paolo VI, grande devoto di Agostino, in visita nel maggio 1960; S. Giovanni Paolo II, ebbe l’occasione di venerarle nella sua cappella privata durante un peregrinatio delle stesse nel novembre 2004; Benedetto XVI, che durante la sua vita si è lasciato plasmare dal pensiero di Agostino, volle venerare personalmente le reliquie, cosa che fece il 22 aprile 2007, dove si espresse con queste parole: «Ecco allora il messaggio che ancora oggi sant’Agostino ripete a tutta la Chiesa e, in particolare, a questa Comunità diocesana che con tanta venerazione custodisce le sue reliquie: l’Amore è l’anima della vita della Chiesa e della sua azione pastorale. […]. Solo chi vive nell’esperienza personale dell’amore del Signore è in grado di esercitare il compito di guidare e accompagnare altri nel cammino della sequela di Cristo. Alla scuola di sant’Agostino ripeto questa verità per voi come Vescovo di Roma, mentre, con gioia sempre nuova, la accolgo con voi come cristiano».

 Elenco delle reliquie incontrate al momento dell’apertura della casa argentea dopo il ritrovamento del 1695 (cf. Mathis de Carmagnuola, Dell’inventione del sacro corpo di S. Agostino nel primo d’Ottobre 1695, 2)

 

  1. 10 pezzi di cranio e alcuni altri piccoli
  2. La mandibola inferiore con due denti
  3. Un’osso petroso col forame uditorio
  4. 10 vertebre della spinal mdeolla, parte del collo, parte lombale, parte del dorso cona una grossa porzione dell’osso sacro
  5. Una clavicula sinistra
  6. 25 pezzi di coste
  7. Porzione dell’osso pubes e dell’osso illion
  8. L’osso scio di ambe due le coscie, uno intero e l’altro rotto in tre pezzi
  9. Il focie maggiore di una gamba
  10. Il capo del focile maggiore e tutto il minore dell’altra gamba
  11. L’osso adiutorio d’una spalla rotta in due pezzi
  12. Due focili di un braccio
  13. Due focili dell’altro braccio
  14. Alcuni pezzi del carpo, e metacarpo, tanto dei piedi quanto delle mani, con varii articoli delle dita dei quali non si è potuto precisamente conoscere i mancanti
  15. 86 pezzetti di ossa diverse
  16. Due ampolette di vetro, una più grande dell’altra, ambedue vuote
  17. Diversi pezzi di piombo e un pezzo di tavola di legno

 Riferimenti bibliografici

Mathis de Carmagnuola, Dell’inventione del sacro corpo di S. Agostino nel primo d’Ottobre 1695, Pavia, 1695.

Fulgentius Belelli, Collectio actorum atque allegatorum, quibus ossa sacra Ticini in confessione S. Petri in Cœlo aureo anno 1695 reperta esse sacras S. Augustini Hipponensis episcopi, & ecclesiæ doctoris exuvias probatum est, & novissime judicatum, (volumi I e II), Venezia, 1729.

A.C. De Romanis, Sant’Agostino: il santo dottore nella vita e nelle opere, Roma, 1931.

J.T. Hallenbeck, The transferal of the relics of St. Augustine of Hippo from Sardinia to Pavia in the early Middle Ages, Lewiston, NY, 2000.

H.S. Stone, St. Augustine’s Bones. A Microhistory, Amherst, 2002.

M. Schrama, The commemoration of the Translation of the Relics of Saint Augustine, in Between lay piety and academic theology. Studies presented to Chr. Burger on his 65th birthday, U. Hascher-Burger – A. den Hollander – W. Janse (ed.), Leiden, 2010, 55-77

Josef Sciberras OSA, Postulatore Generale

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